mercoledì 19 luglio 2017

Come il due di luglio (terza edizione)



Ci sono storie che ti nascono dentro, si sedimentano e crescono, fino a diventare libri che a loro volta si modificano e si trasformano con l'aiuto delle persone che li leggono, che li amano, che ti danno una mano a rivedere un dettaglio, a curare l'editing, la copertina. Si migliorano ogni giorno un poco, fino a raggiungere una forma quasi definitiva, intrattenendo ed incrociando destini, volti, personaggi ed altre storie. E poi li vedi prendere il largo, indipendentemente da te, vivere di una vita propria, come figli che arrivati alla maturità, decidono di lasciare il nido familiare per spiccare il volo da soli.
Il mio romanzo "Come il due di luglio" è arrivato alla sua terza edizione, con copertina ed editing rinnovato, l'hanno già letto in molti e spero che possa accompagnare il tempo di tante altre persone.

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Uomini alle corde



Il treno Milano-Saronno parte sempre dal decimo binario. Salgo poco prima che le porte si chiudano, seguita da alcuni ragazzi che schiamazzano allegri. Avanzo di qualche vagone e prendo posto. Vedo i ragazzi avanzare oltre la mia posizione e fermarsi poco più avanti. Dopo alcuni minuti sento la voce del controllore donna che chiede i biglietti e quasi contemporaneamente odo i ragazzi scappare avanti, con il solito schiamazzo. Il controllore se ne accorge e li insegue, afferrandone uno per il braccio. Gli chiede il biglietto ed il ragazzo arranca, inventa scuse poco plausibili, perde tempo. Il controllore non è una stupida, conosce bene il suo mestiere e non si lascia abbindolare dalle fandonie del ragazzo: “Tanto il biglietto non ce l'hai, ho capito. Allora o scendi alla prossima fermata o paghi il biglietto con la multa: cosa preferisci?” Il ragazzo arrossisce, tentenna, si sente osservato. Sta facendo una figuraccia con tutti i presenti e non può tollerarlo, tra l'altro i suoi amici, poco distante, guardano e sghignazzano, allora cambia atteggiamento: “Zitta, stronza, il biglietto ce l'ho, devi solo aspettare, hai capito? Devi aspettare e stare calma, puttana!”
Il controllore non ci sta a farsi insultare e lo sistema a dovere, chiamando in causa la mamma e la sorella a cui dovrebbe dirigere quegli insulti. Io mi vergogno per lui. E' giovane ed italiano. Potrebbe essere mio figlio. Cosa gli hanno insegnato in famiglia ed a scuola? E' così che ci si rivolge ad una donna? Da dove arriva tutta questa arroganza e maleducazione? Stiamo allevando una generazione di codardi, senza rispetto per niente?
Penso di intervenire, ma poi mi trattengo. Il controllore sa gestire bene la situazione ed arrivati al capolinea, affida il ragazzo alla Polizia Ferroviaria perché si rifiuta di pagare ed anche di mostrare i documenti. Lei mi fa pena. Ha una rabbia addosso che le esce dagli occhi. Ha finito il suo turno e trascina il trolley verso l'uscita, con passo deciso. E' arrabbiata ed ha ragione. Se fosse stato un uomo il ragazzo si sarebbe comportato alla stessa maniera? Avrebbe detto le stesse cose? Possibile che quella povera donna debba ingoiare tutti i giorni questi insulti per fare il suo dovere? Dove sta la sicurezza del suo lavoro? Perchè una donna non può lavorare dignitosamente come un uomo, senza essere costretta a subire tali vessazioni? Quale società stiamo costruendo?
Torno a casa, con questi pensieri. Il treno sta diventando un posto sempre più pericoloso che utilizzo sempre meno volentieri perché non mi sento sicura e perché non mi piace dover sempre assistere a queste scene.

All'indomani esco per fare compere in centro. Vado di fretta, un'amica mi aspetta. Un ragazzo di colore vende le sue cianfrusaglie ad un angolo. Ferma tutti i passanti, prendendoli per un braccio. Non mi piace essere toccata e per di più da estranei e cambio marciapiede. Lui mi vede e cerca di agganciarmi con una scusa, ma sono distante e non attacca. Proseguo per la mia strada. Dopo qualche ora, ripercorro la strada al contrario. Il ragazzo è sempre al medesimo angolo e questa volta non faccio in tempo ad attraversare. “Che bella collana che hai! Chi te l'ha regalata?” Non rispondo e proseguo per la mia strada. Il ragazzo si arrabbia, mi insegue. “Devi fermarti quando parlo, hai capito? Stronza!” mi apostrofa mentre mi allontano a passo veloce, per non essere raggiunta. Lui è disperato, lo so, ma la sua aggressione verbale non mi lascia scampo. Se si fosse presentato con un sorriso o con un atteggiamento più tranquillo non gli avrei fatto mancare il mio aiuto, ma la pretesa, l'arroganza e persino l'insulto non li ammetto. Possibile che non abbia più nemmeno il diritto di andare per strada indisturbata? Se fossi stata un uomo avrebbe detto le stesse cose? Avrebbe avuto lo stesso atteggiamento? Francamente non credo.
L'uomo di qualsiasi colore ed etnia non tollera di essere ignorato o peggio rimproverato da una donna. Quando si sente in colpa, messo ad un angolo, quando sente che la donna che ha di fronte è su un gradino superiore al suo, tira fuori tutta la sua frustrazione, tutta la sua rabbia sessista e la sfoga sulla prima malcapitata. La nostra parità di diritti, la nostra emancipazione è solo apparenza. Saremo finalmente libere ed uguali quando potremo prendere il treno di notte senza paura di essere aggredite, quando potremo svolgere tutti i mestieri e le professioni che vogliamo senza essere costantemente messe in discussione ed insultate al primo diverbio, quando non dovremo più preoccuparci del nostro aspetto fisico per essere accettate come persone intelligenti, quando gli uomini smetteranno di considerarci una loro esclusiva proprietà e cominceranno a considerarci delle persone, dotate della loro stessa intelligenza, sensibilità e cultura, quando non dovremo più aspettare il principe azzurro che ci viene a salvare, quando saremo capaci di salvarci da sole, quando avremo una società in cui nessuno debba mai sentirsi in pericolo in nessun posto ed in nessun luogo.