venerdì 12 agosto 2016

Nuove piccole donne crescono




Quest'estate mia figlia di soli dodici anni, in vacanza al mare con i nonni,  ha deciso di mettere alla prova le mie idee femministe ed anticonformiste, affrontando con la purezza e la spienseratezza dei suoi pochi anni il mondo tradizionalista meridionale. Lo ha sfidato con cose semplici eppure cruciali, battendosi strenuamente per avere la libertà di poter frequentare un gruppo di soli maschi, suoi coetanei, che lei ritiene meno noiosi e pettegoli delle ragazzine, tutte preoccupate del look serale e del colore dello smalto. Mia figlia è una ragazza sportiva, semplice ed attiva. Con  queste ragazze sentiva di non avere nulla in comune. Con i ragazzi invece gioca a calcio, ai videogiochi, si arrampica sugli alberi e si inventa tante magnifiche avventure, divertendosi un mondo. I suoi amici la adorano.
Vinta la prima battaglia, con me al suo fianco, a sostenere i suoi diritti contro la mentalità tradizionale dei nonni e delle altre mamme, mi ha comunicato dopo qualche settimana, di avere un amico speciale a cui vuole bene ed a cui non intende rinunciare. Il suo primo ragazzo. Altre discussioni con i nonni ed anche con il papà che non lo dice ma è geloso. Ed io sempre in difesa della sua libertà di vivere la vita ed i propri sentimenti come crede, perché non c'è nulla di male, mentre il tarlo della paura lentamente si faceva una tana nel mio cuore. Starò facendo la cosa giusta? E se mi sbaglio e succede un guaio? Se qualcuno si approfitta della sua ingenuità?  Come faccio a difenderla dal mondo, rispettando la sua libertà?
Mentre mi crogiolavo con questi interrogativi, sorvegliando la situazione da lontano, un pomeriggio torna a casa con un braccio dolorante: giocando a calcio, in porta, ha tentato di parare un tiro troppo forte. La palla non è entrata in rete ma ha un braccio dolorante, forse fratturato. Corsa in ospedale, raggi, ortopedico e tutti a dirle che è anche un po' colpa sua perché le bambine non giocano a calcio. Persino sulla cartella clinica scrivono maschio. Lei si arrabbia. Si difende. Se fossi stata un maschio mi avreste detto la stessa cosa? E' capitato. Poteva succedere anche giocando a pallavolo.
E finalmente capisco.  Con le bambine si tende ad essere maggiormente protettivi. Si insegna loro a mettersi al sicuro, a non rischiare, mentre si sprronano i bambini ad essere coraggiosi, ad esplorare il mondo e quando si fanno male gli si dice di non piangere e di riprovarci. Sono questi ruoli, questi atteggiamenti predefiniti che ci rendono più insicure, più vulnerabili. Devo mettere da parte le mie paure ed aiutarla ad essere indipendente, imparando ad affrontare le avversità che il mondo le proporrà con coraggio. Chiuderla in una campana di vetro non le servirà, non la aiuterà a crescere ma solo a rinchiudersi a riccio in casa. Ed io invece voglio che diventi una donna f
iera e coraggiosa, che scelga la sua vita senza farsi influenzare dai pregiudizi. Ma lei questo lo sa già.

martedì 2 agosto 2016

L’amica geniale. Storia di un'amicizia




Mi sono imbattuta nei libri di Elena Ferrante quasi per caso. Avevo già sentito parlare delle sue opere ma, sebbene molto osannate dalla critica, mi parevano un polpettone melenso che non gradivo. Solitamente preferisco i thriller ed il noir, ai romanzi sentimentali.  
Ed invece un giorno, in vista di una vacanza al mare, ho acquistato il primo volume della quadrilogia. Volevo un libro poco impegnativo che mi aiutasse ad alleggerirmi dai pensieri e fardelli quotidiani, che mi proiettasse in un mondo femminile, rosa e fatato.  Come mi sbagliavo. Accantonati Nesbo e Camilleri, Anna Holt e Camilla Lackberg, mi sono immersa nella storia di questa amicizia tra Elena, detta Lenù e Raffaella, detta Lila, bambine in un quartiere popolare napoletano. La scioltezza della scrittura, il ritmo alternato ed incalzante, la descrizione psicologica dei personaggi a tutto tondo, mi hanno  subito catturato fino a farmi prigioniera del racconto. La familiarità dei temi trattati, il filtro dello sguardo femminile sul mondo, gli approfondimenti di una storia banale, ma resa con una complessità e profondità disarmante, mi ha fatto riconoscere nelle vicende delle protagoniste e mi hanno portato alla mente episodi della mia vita trascorsa. 
“L’amica geniale” mi ha ricordato come ero da bambina, i giochi in cortile, le bambole, ma anche le cattiverie di cui solo i bambini sono capaci, i rapporti complicati di dipendenza e di autonomia, i primi amori, il desiderio di autonomia. Il libro mi è piaciuto talmente tanto che al secondo giorno di vacanza l’avevo già finito ed ho disperatamente cercato una libreria per acquistare il secondo volume “Storia del nuovo cognome”, che mi ha catapultata dall’infanzia all’adolescenza, attraverso la scoperta di diversi tipi di amore, l’amore platonico, l’amore molesto, l’amore passionale, l’amore spensierato, l’amore colto, l’amore che ferisce e che finisce.
Nella descrizione dell’estate ad Ischia ho rivissuto il periodo del liceo, delle lunghe vacanze scolastiche, quando anch’io trascorrevo l’estate tra sole, mare ed amicizie. Anche questo libro l’ho consumato in pochi giorni per passare velocemente alla “Storia di chi va e di chi resta”. Dei quattro libri che compongono la quadrilogia della Ferrante, forse questo è quello che mi è piaciuto meno. Si disperde in dettagliate ricostruzioni storiche che spezzano il ritmo serrato della narrazione, mentre il lettore ormai incatenato al racconto, esige di sapere come va a finire. L’aria di rivoluzione degli anni Settanta soffia sulle vite delle protagoniste investendo Lila e sfiorando soltanto Elena che rimane rigida nel suo ruolo di brava studentessa prima e di attenta moglie e mamma poi.
Il quarto ed ultimo libro, “Storia della bambina perduta”, approfondisce il tema della maternità. Lila madre presente e affettuosa con il primogenito, si trasforma in una madre lavoratrice distratta, che tenta come può di conciliare affetti, lavoro ed ambizioni personali alternando fasi di compiuta serenità alla smaniosa ricerca di affermazione personale. Elena, invece, subisce la maternità a lungo, dedicandosi alle figlie in maniera quasi esclusiva, sacrificandosi fino al punto di annientare se stessa e perdersi dietro allo stereotipo di madre amorevole tutta dedita alla famiglia, ma al riemergere di un nuovo amore, rifiorisce, trovando la forza per ritrovare sé stessa, mettere a soqquadro le vecchie e consolidate abitudini e reinventarsi una nuova vita per sé e le sue figlie. E proprio quando tutto sembra essersi sistemato e volgere per il meglio, la tragedia della scomparsa improvvisa di Tina, la secondogenita di Lila, segnerà profondamente la vita di entrambe. Da quel momento in poi, le loro vite che sono corse parallele pur se su binari differenti, divergeranno per sempre, fino a non incontrarsi più.

Lila ed Elena, due personalità agli antipodi, che sono come facce della stessa medaglia, l’una dipendente dalla personalità dell’altra, che si fanno forza nella vita appoggiandosi l’una l’altra. La Ferrante ha il grande merito di saper descrivere i personaggi nella loro complessa evoluzione, mostrando come i limiti di ciascuno possano col tempo essere superati, modellati, ridimensionati, acquisendo nuove capacità e conoscenze, come la storia individuale non sia solo oggetto passivo del fato, ma come possa essere ribaltata, reinventata e ricostruita attraverso la passione e l’impegno costante quotidiano. Nel mondo della Ferrante tutto è in divenire, come lo scorrere di un fiume che dalla sorgente, attraverso un percorso talvolta impervio, si muove rapido verso il mare, rallentando prima del finale.