mercoledì 25 maggio 2016

Ultima edizione




In attesa del mio nuovo romanzo, che uscirà a fine anno, sul sito www.ilmiolibro.it è disponibile la nuova edizione dei miei lavori. 
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martedì 17 maggio 2016

Il vestito nuovo



Con l’arrivo della bella stagione si moltiplicano gli inviti e le occasioni d’incontri e feste in società e contemporaneamente accresce l’ansia di apparire sempre belle e alla moda. L’armadio non offre grandi spunti. I vestiti per le occasioni mondane, rimasti inutilizzati per molto tempo, non sono più attuali ed anche il classico tubino nero tira e spancia. Vano qualsiasi tentativo di entrare ancora nel tailleur di shantung o nel vestito di voile in seta. Lo specchio mi esorta a non spingermi oltre: i chili di troppo accumulati durante l’inverno si fanno sentire tutti e non potendo ricorrere al chirurgo plastico per farmi affettare come una mortadella (tre etti di cosce, quattro etti di sedere ed altrettanti di pancia e seno!), sembra ormai evidente che è arrivato il momento di acquistare un nuovo abito!
L’idea mi appare subito piuttosto allettante e mi sorprendo in pausa pranzo a guardare le vetrine dei negozi in centro o a navigare sui blog di moda per aggiornarmi sul colore più trend dell’estate. Scelgo con la mente il look più adatto all'occasione, selezionando accuratamente colori, tessuti, modelli e costi, ma il terrore di apparire nuovamente dinanzi allo specchio, mi blocca e rimando lo shopping a data da destinarsi, nascondendomi dietro scuse abusate da donna super-impegnata.
Il giorno dell’evento si avvicina ed ignorarlo non giova al sonno: forbici parlanti mi inseguono in un corridoio infinito per tagliarmi un vestito su misura, talmente aderente da perdere il fiato e la solita combriccola di amici e parenti assiste alla scena bisbigliando all'orecchio. In fondo al corridoio un enorme specchio mi rimanda un’immagine deforme di me stessa. Mi sveglio sudata ed angosciata. La verità è che ho paura di accettare l’idea che non ho più né venti e nemmeno trentanni e che, mentre il mio corpo naturalmente si trasforma, la mia mente rimane legata all'immagine di quella che ero. Tra un rinvio e l’altro, arrivo terrorizzata alla vigilia dell’evento. “Ed ora cosa mi metto?”, urlo isterica dinanzi all'armadio stracolmo di vestiti che non mi entrano più, ma di cui non riesco a liberarmi, nell'illusione di poterli in un giorno nuovamente indossare. Morirò grassa, ormai è certo, ma nel frattempo dovrò comunque continuare a vestirmi e quasi rimpiango di non essere musulmana per poter indossare un bel burqa che mi protegga dagli sguardi indiscreti, come un fantasma della donna che sono stata.
Il tempo stringe ed occorre darsi da fare. Mi concedo una giornata di ferie, per scegliere al meglio il nuovo look e magari fare un salto dall'estetista/parrucchiera che dopo un intero inverno di crescita anarchica di peli/capelli mi ripeterà la solita litania su ciò che si deve e che non si deve fare per avere cura del proprio corpo. Da quanto è che non mi occupo più di me stessa? Sempre di corsa ad inseguire figlia, marito e lavoro ed il risultato di anni di incurie è davanti agli occhi di tutti. Sono una pantofola sciatta, piena di cultura e di vita vissuta, poco amante di me stessa. Il mio corpo è solo un’utilitaria che serve a trasportarmi nel mondo, ma come sarebbe bello poter viaggiare ogni tanto in una Jaguar anziché sempre in Cinquecento!
Ripiena di dubbi e pensieri, come la crema delle zeppole di San Giuseppe, mi dirigo verso il mio negozio di abbigliamento di fiducia, nascosto nell'angolino in centro, per scegliere qualcosa che non costi troppo, che mi stia bene a dosso e che sia alla moda, ma dopo aver faticosamente trovato parcheggio, scopro che il negozio che ricordavo è misteriosamente scomparso. Era proprio lì, tra il fioraio ed il negozio di scarpe, ma ora al suo posto lampeggia un centro massaggi cinese. Chiedo al fioraio: il negozio di abbigliamento che ricordavo è chiuso da tre anni, colpa della crisi, dice, e delle clienti pigre come me, aggiungo io.
“Ed ora dove vado?” mi chiedo smarrita. Un giro in centro mi fa subito sentire fuori luogo: i prezzi dei cartellini sono esorbitanti ed i modelli proposti degni del carnevale di Viareggio. Niente che possa andar bene per una quasi cinquantenne paffutella e, diciamolo, anche un po’ demodé. Ragazzine su scarpe che sembrano trampoli, oscillano eteree, scrutandomi dall'alto in basso, come una barbona in una gioielleria. Inutile perdere tempo. Forse al nuovo centro commerciale troverò qualcosa di meno caro e di più adatto ad una signora. Un’ora di coda nel traffico e quindici minuti per parcheggiare, ma alla fine ce la faccio.  “Cento negozi a mia disposizione, qualcosa troverò!”, mi dico convinta ed inizio la maratona. Primo negozio solo abbigliamento per teenager, secondo negozio abbigliamento anche taglie curvy ma di qualità veramente scadente, terzo negozio abbigliamento di marca troppo eccentrico, quarto negozio modelli sobri a prezzi accessibili, taglie fino alla 48: magari è la volta buona. Arraffo quel che posso e mi fiondo nel camerino. Provo un vestito nero con semi trasparenze, ma la 48 mi stringe troppo sul seno. Altro vestito più ampio, ma si poggia sul sedere e mi ingrassa. Continuo a provare e riprovare ma non c’è niente che mi stia bene ed il dubbio sorge spontaneo: ma sono io che ho superato abbondantemente anche la 48 o sono loro che fanno le taglie microscopiche? Mi guardo meglio allo specchio: le cosce che cadono, il sedere che straborda, la pancia molle, il seno a cipolla perché si, ormai fa proprio piangere! Abbandono tutto nel camerino e scappo, sperando di non essere vista. Mi viene da piangere. Chi è quella donna allo specchio che mi guarda stranita? Dove è finita la ragazza attraente e gioviale che a fatica avevo costruito? Com'è possibile che in un momento di distrazione mi sia trasformata in questa cosa sciatta? Devo subito porre rimedio alla situazione. Urge una cura di contrasto: dieta ferrea, piscina, massaggi ed un po’ di mare, al più presto… nel frattempo per consolarmi mi metto in fila per un gelato: cono cioccolato stracciatella e panna. Lo divoro senza neanche assaporarne il gusto, logorata dal senso di inadeguatezza. Sono troppo arrabbiata e non so nemmeno con chi prendermela. Domani c’è il grande evento ed io non so ancora cosa indossare. Mentre mi lecco le ferite del mio orgoglio distrutto mi ricordo di un outlet fuori mano che vende esclusivamente abiti da cerimonia, anche per taglie comode. Una debole speranza si accende. Evitando accuratamente gli specchi, mi dirigo al parcheggio e in stato di semi-coscienza raggiungo l’outlet. E’ appena maggio, ma fa già molto caldo e le belle ragazze si svestono. Le guardo ammirata: i capelli al vento, i vestiti leggeri che svolazzano, le gambe toniche ed abbronzate. Stanno bene anche vestendo lo straccio per la polvere e poi quello sguardo così sicuro e speranzoso del futuro, lo stesso sguardo che avevo anche io alla stessa età, prima che la vita mi piegasse con le sue promesse non mantenute, prima che mi obbligasse a mille rinunce, prima che il tempo mi trasformasse dall'interno prima che all'esterno. Siamo il riflesso dei nostri pensieri e la bellezza esteriore non è che l’amore sé stessi e per la vita, un amore che forse ho un po’ perso strada facendo. In fondo si può essere belle anche con qualche chilo di troppo e con qualche ruga sul viso, l’importante è piacere a sé stesse, essere soddisfatte di quelle che si è e di ciò che si fa. Forse è questo quello che mi manca, penso parcheggiando.
L’outlet è semi-deserto. La commessa mi avvista subito, sebbene faccia di tutto per nascondermi tra il vestiario.
“Posso aiutarla?”
“Grazie, ma sto solo dando uno sguardo. Appena trovo qualcosa che mi piace la chiamo”.
Una signora si prova un abito allo specchio. E’ un po’ in carne e sembra che trattenga il respiro per entrare in un fasciatissimo abito lungo color corallo.
“La guaina va indossata senza biancheria!”, le dice l’amica. “Non vedi i segni che ti lasciano le mutande?”, la rimprovera.
Quanto siamo disposte a soffrire pur di apparire sempre belle e giovani? Perché non possiamo accettarci per quello che siamo? Perché dobbiamo sempre confrontarci con un modello altissimo ed irraggiungibile? Al prezzo di quale sacrificio? E poi perché agli uomini non è chiesto di fare altrettanto?  Perché si soprassiede sui loro capelli bianchi, sulla loro pancetta, sulla loro barba incolta? Perché loro possono permettersi il lusso di essere “nature” e noi donne invece no? Perché dobbiamo sempre piacere a qualcun altro e non solo a noi stesse?
Rimuginando su questi interrogativi, mi aggiro tra gli stand dell’immenso magazzino, facendo finta, di tanto in tanto di guardare qualche abito. Poi la commessa mi si piazza davanti e mi dice:
“Posso farle provare qualcosa?”. Evidentemente mi teneva d’occhio già da qualche minuto. Mi arrendo dinanzi alla sua determinazione.
“Cosa le piacerebbe indossare?”. Domanda apparentemente semplice, ma con risposta complessa. “Devo apparire per quello che gli altri vorrebbero o per quello realmente sono?”, mi chiedo perplessa, ma la risposta la conosco da tempo. E’ scritta nel mio cuore, nel mio DNA.
“Vorrei un vestito elegante, ma sobrio, comodo che mi vesta elegantemente senza trasformarmi in quello che non sono”. La commessa sorride.
“Ho proprio quello che fa per lei”. Dice avanzando verso un angolo preciso. Mi mostra una serie di tailleur pantalone in shantung di seta, dal taglio classico, ma con colori sgargianti.
“Lei è una donna solare, anche se ogni tanto qualche nube oscura la sua luce. Una donna decisa e pratica. Non ha bisogno di fronzoli per apparire bella. Le basta sorridere”. 
Indosso a cuor leggero quello che mi offre. La taglia è perfetta, il colore anche e pazienza se ho qualche chilo di troppo e qualche ruga. Sono quel che sono e faccio pace con me stessa. Inutile inseguire modelli irraggiungibili. Chi vuole cogliere la bellezza la trova ad ogni passo. Deve solo saper cercare.  E’ questo il segreto del mio stare al mondo.


sabato 7 maggio 2016

Mothersday



Quando ho deciso di diventare mamma, non mi aspettavo certo quello che poi sarebbe successo. Avevo trentacinque anni e fino ad allora mi ero sempre occupata al meglio di me stessa, dei miei studi, del mio lavoro, della mia casa. Solo da qualche anno avevo imparato a condividere la mia vita con mio marito, a prendere decisioni in comune, a pensare ad un futuro insieme. 
Ho vissuto la gravidanza come una malattia, tra nausee, anemia e continue perdite che mi costringevano a rallentare il passo, ad andare più piano. Concentrata sul lavoro fino al settimo mese, non ho quasi avuto modo di comprendere i profondi cambiamenti a cui la vita mi stava chiamando. Ed infine quando la mia bellissima bambina è nata, il mondo mi è crollato a dosso. Abituata ad essere indipendente ed efficiente, non riuscivo a stare tutto il giorno seduta ad allattare- Avevo bisogno di dormire, di uscire, ma quel piccolo esserino urlante che tenevo sempre tra le braccia, dipendeva in tutto e per tutto da me. La sua dipendenza mi ha completamente sconvolto l'esistenza ed in breve sono caduta in uno stato di prostrazione. Non mi sentivo all'altezza del ruolo di mamma, nessuno mi aveva adeguatamente preparata. 
Vivendo a mille chilometri dalla mia città natale e con un marito sempre assente per lavoro, ho dovuto da sola cercare come potevo di soddisfare alle esigenze della piccola rinunciando spesso anche all'essenziale. Mangiavo poco, non dormivo per niente e trascorrevo interminabili giornate tra poppate, sonnellini, cambi di pannolini e ninna nanne. Ricordo quel periodo come un incubo che sembrava non dovesse mai finire, Intendiamoci; come ogni mamma amavo mia figlia più di me stessa ed avevo a cuore il suo benessere più di ogni altra cosa, ma senza alcun aiuto sociale o famigliare, sono stata costretta ad un percorso ad ostacoli che non ho più avuto la forza in seguito di attraversare. 
Ecco, credo che la maternità in Italia, sia senza troppe balle neoromantiche essenzialmente questo. 
Lo Stato che ci prosciuga di tasse, non fornisce alcun servizio di assistenza alle neomamme e le famiglie, che per anni hanno funzionato come ammortizzatore sociale, ormai disgregate non sono più in grado di svolgere quel ruolo di autoassistenza che caratterizzava la società italiana fino a qualche decennio addietro.  Tutto il lavoro di cura costante ed imprescindibile dei piccoli, grava sulle spalle delle mamme. Ma i figli non sono solo delle donne che li partoriscono. I figli sono anche dei papà, dei nonni, della collettività ed in un Paese che si suole definire civile, un Paese con profonde radici cristiane, credo sia davvero ipocrita ignorare tutte queste problematiche e parlare sempre e solo del periodo della maternità e dell'infanzia come un periodo idillico e spensierato. 
Da figlia non comprendevo i sacrifici che a sua volta aveva fatto mia madre per crescere ben tre figli. Non capivo perchè lei, così artisticamente dotata, aveva chiuso tutti i sogni in un cassetto e per amore nostro si era dedicata completamente alla famiglia. Da ragazza ribelle quale ero, ho sempre detto di non voler fare come lei, di voler lavorare e cercare di realizzarmi prima come persona che come mamma, Ed invece anche a me è successa la stessa cosa che succede a tutte le donne: ho dovuto scegliere tra la famiglia e la carriera, ho dovuto rinunciare a molti sogni per amore della mia famiglia, ho dovuto sacrificare me stessa per il benessere dei miei cari. 
Mia figlia è ormai una ragazza e comincia a riempire il suo cassetto di sogni bellissimi che mi auguro non rimangano tali, perchè c'è un enorme spreco di talento e danaro in tutto ciò, perchè nessuna donna può dirsi felice se deve rinunciare ad una parte di sè stessa, perchè la maternità è un valore da sostenere concretamente senza idealizzazioni. 
Questo significa oggi essere mamma in Italia. 
Buona festa dalla mamma a tutte.