venerdì 12 agosto 2016

Nuove piccole donne crescono




Quest'estate mia figlia di soli dodici anni, in vacanza al mare con i nonni,  ha deciso di mettere alla prova le mie idee femministe ed anticonformiste, affrontando con la purezza e la spienseratezza dei suoi pochi anni il mondo tradizionalista meridionale. Lo ha sfidato con cose semplici eppure cruciali, battendosi strenuamente per avere la libertà di poter frequentare un gruppo di soli maschi, suoi coetanei, che lei ritiene meno noiosi e pettegoli delle ragazzine, tutte preoccupate del look serale e del colore dello smalto. Mia figlia è una ragazza sportiva, semplice ed attiva. Con  queste ragazze sentiva di non avere nulla in comune. Con i ragazzi invece gioca a calcio, ai videogiochi, si arrampica sugli alberi e si inventa tante magnifiche avventure, divertendosi un mondo. I suoi amici la adorano.
Vinta la prima battaglia, con me al suo fianco, a sostenere i suoi diritti contro la mentalità tradizionale dei nonni e delle altre mamme, mi ha comunicato dopo qualche settimana, di avere un amico speciale a cui vuole bene ed a cui non intende rinunciare. Il suo primo ragazzo. Altre discussioni con i nonni ed anche con il papà che non lo dice ma è geloso. Ed io sempre in difesa della sua libertà di vivere la vita ed i propri sentimenti come crede, perché non c'è nulla di male, mentre il tarlo della paura lentamente si faceva una tana nel mio cuore. Starò facendo la cosa giusta? E se mi sbaglio e succede un guaio? Se qualcuno si approfitta della sua ingenuità?  Come faccio a difenderla dal mondo, rispettando la sua libertà?
Mentre mi crogiolavo con questi interrogativi, sorvegliando la situazione da lontano, un pomeriggio torna a casa con un braccio dolorante: giocando a calcio, in porta, ha tentato di parare un tiro troppo forte. La palla non è entrata in rete ma ha un braccio dolorante, forse fratturato. Corsa in ospedale, raggi, ortopedico e tutti a dirle che è anche un po' colpa sua perché le bambine non giocano a calcio. Persino sulla cartella clinica scrivono maschio. Lei si arrabbia. Si difende. Se fossi stata un maschio mi avreste detto la stessa cosa? E' capitato. Poteva succedere anche giocando a pallavolo.
E finalmente capisco.  Con le bambine si tende ad essere maggiormente protettivi. Si insegna loro a mettersi al sicuro, a non rischiare, mentre si sprronano i bambini ad essere coraggiosi, ad esplorare il mondo e quando si fanno male gli si dice di non piangere e di riprovarci. Sono questi ruoli, questi atteggiamenti predefiniti che ci rendono più insicure, più vulnerabili. Devo mettere da parte le mie paure ed aiutarla ad essere indipendente, imparando ad affrontare le avversità che il mondo le proporrà con coraggio. Chiuderla in una campana di vetro non le servirà, non la aiuterà a crescere ma solo a rinchiudersi a riccio in casa. Ed io invece voglio che diventi una donna f
iera e coraggiosa, che scelga la sua vita senza farsi influenzare dai pregiudizi. Ma lei questo lo sa già.

martedì 2 agosto 2016

L’amica geniale. Storia di un'amicizia




Mi sono imbattuta nei libri di Elena Ferrante quasi per caso. Avevo già sentito parlare delle sue opere ma, sebbene molto osannate dalla critica, mi parevano un polpettone melenso che non gradivo. Solitamente preferisco i thriller ed il noir, ai romanzi sentimentali.  
Ed invece un giorno, in vista di una vacanza al mare, ho acquistato il primo volume della quadrilogia. Volevo un libro poco impegnativo che mi aiutasse ad alleggerirmi dai pensieri e fardelli quotidiani, che mi proiettasse in un mondo femminile, rosa e fatato.  Come mi sbagliavo. Accantonati Nesbo e Camilleri, Anna Holt e Camilla Lackberg, mi sono immersa nella storia di questa amicizia tra Elena, detta Lenù e Raffaella, detta Lila, bambine in un quartiere popolare napoletano. La scioltezza della scrittura, il ritmo alternato ed incalzante, la descrizione psicologica dei personaggi a tutto tondo, mi hanno  subito catturato fino a farmi prigioniera del racconto. La familiarità dei temi trattati, il filtro dello sguardo femminile sul mondo, gli approfondimenti di una storia banale, ma resa con una complessità e profondità disarmante, mi ha fatto riconoscere nelle vicende delle protagoniste e mi hanno portato alla mente episodi della mia vita trascorsa. 
“L’amica geniale” mi ha ricordato come ero da bambina, i giochi in cortile, le bambole, ma anche le cattiverie di cui solo i bambini sono capaci, i rapporti complicati di dipendenza e di autonomia, i primi amori, il desiderio di autonomia. Il libro mi è piaciuto talmente tanto che al secondo giorno di vacanza l’avevo già finito ed ho disperatamente cercato una libreria per acquistare il secondo volume “Storia del nuovo cognome”, che mi ha catapultata dall’infanzia all’adolescenza, attraverso la scoperta di diversi tipi di amore, l’amore platonico, l’amore molesto, l’amore passionale, l’amore spensierato, l’amore colto, l’amore che ferisce e che finisce.
Nella descrizione dell’estate ad Ischia ho rivissuto il periodo del liceo, delle lunghe vacanze scolastiche, quando anch’io trascorrevo l’estate tra sole, mare ed amicizie. Anche questo libro l’ho consumato in pochi giorni per passare velocemente alla “Storia di chi va e di chi resta”. Dei quattro libri che compongono la quadrilogia della Ferrante, forse questo è quello che mi è piaciuto meno. Si disperde in dettagliate ricostruzioni storiche che spezzano il ritmo serrato della narrazione, mentre il lettore ormai incatenato al racconto, esige di sapere come va a finire. L’aria di rivoluzione degli anni Settanta soffia sulle vite delle protagoniste investendo Lila e sfiorando soltanto Elena che rimane rigida nel suo ruolo di brava studentessa prima e di attenta moglie e mamma poi.
Il quarto ed ultimo libro, “Storia della bambina perduta”, approfondisce il tema della maternità. Lila madre presente e affettuosa con il primogenito, si trasforma in una madre lavoratrice distratta, che tenta come può di conciliare affetti, lavoro ed ambizioni personali alternando fasi di compiuta serenità alla smaniosa ricerca di affermazione personale. Elena, invece, subisce la maternità a lungo, dedicandosi alle figlie in maniera quasi esclusiva, sacrificandosi fino al punto di annientare se stessa e perdersi dietro allo stereotipo di madre amorevole tutta dedita alla famiglia, ma al riemergere di un nuovo amore, rifiorisce, trovando la forza per ritrovare sé stessa, mettere a soqquadro le vecchie e consolidate abitudini e reinventarsi una nuova vita per sé e le sue figlie. E proprio quando tutto sembra essersi sistemato e volgere per il meglio, la tragedia della scomparsa improvvisa di Tina, la secondogenita di Lila, segnerà profondamente la vita di entrambe. Da quel momento in poi, le loro vite che sono corse parallele pur se su binari differenti, divergeranno per sempre, fino a non incontrarsi più.

Lila ed Elena, due personalità agli antipodi, che sono come facce della stessa medaglia, l’una dipendente dalla personalità dell’altra, che si fanno forza nella vita appoggiandosi l’una l’altra. La Ferrante ha il grande merito di saper descrivere i personaggi nella loro complessa evoluzione, mostrando come i limiti di ciascuno possano col tempo essere superati, modellati, ridimensionati, acquisendo nuove capacità e conoscenze, come la storia individuale non sia solo oggetto passivo del fato, ma come possa essere ribaltata, reinventata e ricostruita attraverso la passione e l’impegno costante quotidiano. Nel mondo della Ferrante tutto è in divenire, come lo scorrere di un fiume che dalla sorgente, attraverso un percorso talvolta impervio, si muove rapido verso il mare, rallentando prima del finale. 

lunedì 18 luglio 2016

In memoria di Paolo Borsellino




Mi è capitato talvolta, nella mia vita professionale, di incontrare personaggi dallo stile mafioso che hanno tentato di lusingarmi, comprarmi, impressionarmi, intimidirmi, minacciarmi, al solo scopo di ottenere ciò che non era loro concesso.
Tante volte mi sono chiesta se ne valesse la pena di espormi a tali pericoli a fronte di un ben misero stipendio e di un ruolo marginale all'interno dell’ente per cui lavoro, ma dopo l’ondata di umana paura e ritrosia ed il lento ristabilirsi dell’equilibrio ho capito che vale sempre la pena fare il proprio lavoro fino in fondo, a prescindere da quale sia il ruolo o lo stipendio che si ricopre. E’ un dovere che abbiamo innanzitutto verso noi stessi, verso i nostri figli, verso i nostri valori e poi verso la società. L’ho riscoperto anche attraverso le parole di Paolo Borsellino, che veniva barbaramente ucciso il 19 luglio del 1992. Borsellino diceva che solo i cretini non hanno paura ma che sempre, accanto alla paura, è necessario che ci sia anche il coraggio di fare il proprio dovere fino in fondo sempre e comunque, qualunque sia il prezzo da pagare.

Per combattere le mafie, sempre più dilaganti anche al nord, oggi non abbiamo bisogno di eroi, ma di sempre più gente che faccia bene il proprio dovere. Abbiamo bisogno di giovani che voltino le spalle alle mafie. Solo così questo cancro che oggi ci sembra inestirpabile, perderà terreno e forza e sparirà, così come finiscono tutte le cose umane.  

lunedì 20 giugno 2016

Donne al potere





La notizia mi arriva inaspettata, mentre guido l'auto per andare al lavoro: "Vittoria alle amministrative delle donne Cinquestelle che conquistano Roma e Torino, stracciando il PD", annuncia lo speaker della radio con noncuranza. Mi interessano poco le riflessioni politiche post elezioni e le sfumature sulle percentuali, in un mondo dove di politica, - nel significato più alto del termine, intesa come cosa pubblica, in contrapposizione ai biechi interessi egoistici - ne è rimasta davvero poca. La notizia mi lascia sorpresa ed al contempo perplessa: "Avranno vinto solo perchè sono donne ed in quanto tali la loro elezione esprime un segno radicale di cambiamento o perchè davvero queste sorelle hanno una marcia in più rispetto agli uomini che hanno battuto? Cosa le ha spinte a sfidare il potere maschile, a rompere il tetto di cristallo, per conquistarsi il loro posto al sole? L'hanno fatto con l'assenzo degli uomini o in contrapposizione e malgrado l'opinione di questi? Chi le ha votate e perchè?" Probabilmente nemmeno le neoelette sindaco di Torino e Roma sanno dare una risposta definitiva a queste domande a cui solo il tempo darà evidenze e certezze, ma ormai il sospetto si annida come un tarlo nella mente: "Ne varrà la pena di rinunciare a tutta la propria vita privata per sfidare gli uomini su un terreno che non ci appartiene fino in fondo o per lo meno così come è stato costruito e strutturato con le regole e modalità che il mondo maschile ha stabilito a sua immagine e somiglianza? Non finiremo poi per comportarci allo stesso modo, se non peggio, degli uomini che sino ad oggi abbiamo criticato? Ed inche  cosa consiste effettivamente questa decantata differenza fra il genere maschile e femminile? Siamo davvero tutte uguali, tutte portatrici di flessibilità, comprensione, voglia di cambiare le cose in maniera onesta e pulita?" 
Non ne sono convinta. Gli uomini come le donne non sono tutti uguali. Ci sono sfaccettature differenti nel pensiero degli uni e delle altre. 
Di donne che si comportano peggio degli uomini, a quarantasei anni, ne ho viste parecchie ed il sospetto che malgrado l'entusiasmo iniziale poi le cose non migliorino così radicalmente come ci si aspetterebbe riprende a consumarmi dal di dentro.
"Perchè solo alcune riescono a rompere il tetto di cristallo e con quali modalità?". Mi sorge il sospetto che il prezzo da pagare sia la trasformazione, l'alienazione, il ripudio del modello femminile per abbracciare senza riserve il modello maschile altero, prepotente e senza scrupoli. Sarebbe una vittoria questa? Sarebbe come vincere una partita a tavolino, con carte false, truccate dagli uomini per mostrare un cambiamento di fatto inesistente. Sarebbe come vestire con la gonnella uno spaventappasseri per non mostrare di che paglia è fatto il sistema. A chi gioverebbe?  
Se il prezzo da pagare per ottenere il successo è l'alienazione da sè stesse, la riproduzione di un modello sbagliato ed irrispettoso che non ci appartiene, la rassegnazione ad una politica fatta di duelli tra politici di fazioni avverse che disputano tra loro per il solo gusto della guerra, senza entrare mai nel merito della discussione, senza la libertà di poter mai cambiare idea, allora io preferirei di gran lunga non vincere e continuare a rimanere più onestamente sulle barricate. Ma diamo tempo al tempo e chissà, magari dovrò ricredermi.


venerdì 10 giugno 2016

Ancora una vittima




Ed ogni volta speri che sia l'ultima, ti auguri che non succeda mai a te ed ai tuoi cari, preghi per tua figlia, tua madre, tua sorella, ma anche per quel volto ancora sconosciuto che domani sarà pubblicato su tutti i giornali e che come una stella cadente, dopo qualche giorno sarà dimenticato. Perché la morte delle donne non fa più notizia. Ci stiamo lentamente abituando ai femminicidi, come ci siamo abituate alle guerre, alle stragi, ai morti assassinati dalla mafia, agli stupri in India, alle spose bambine ed a tutto ciò che consideriamo lontano ed altro da noi, tutto ciò che entra in quella maledetta sottiletta di cristallo che chiamiamo televisore e ne viene inghiottito per sempre.
Perchè è troppo difficile dare  ascolto ad ogni singola voce disperata che viene dalla strada, dal mare, dal bosco, dalla casa di fianco, dalla piazza sotto casa, è un dolore che si riapre ogni giorno ed allora chiudiamo gli occhi, per non vedere, per non sapere, per sopravvivere, ma ogni volta che chiudiamo occhi, bocca ed orecchie ci rintaniamo in una corazza d'indifferenza che ci soffoca e che diventa ogni giorno più spessa ad ogni nostra esitazione.
Perchè non c'è felicità se si è soli. Perché non c'è libertà se si rimane chiusi in casa. Perchè non è vita se non è spesa per migliorare il mondo che ci circonda, anche con gesti semplici, anche solo con l'ascolto.
Come cambierebbe improvvisamente il mondo se ciascuno di noi, maschi e femmine, cominciassimo a porre più attenzione anche a chi ci sta vicino, per un minuto o per la vita, se invece di rinchiuderci in casa, abitassimo le case e le piazze, come salotti per incontrarci, ascoltarci.
Perchè certe volte fingiamo di non vedere, di non sapere, ma il mostro ce l'abbiamo in casa, al lavoro, in palestra, a scuola e persino all'oratorio.
Fidiamoci di più di noi stesse e dei nostri campanelli d'allarme: non passiamo oltre quando il solito cretino fa un commento pesante per strada, non ignoriamo l'uomo ben vestito che fingendo di leggere il giornale ci tocca il fondoschiena, non sorridiamo al collega che fa battute fuori luogo sul modo di vestire di una cliente, non permettiamo più che il capo usi un linguaggio da caserma in nostra presenza, non diciamo si al prete che ci vieta di salire sull'altare, ma non disdegna le nostre pulizie in chiesa, non permettiamo che i nostri uomini ci manchino di rispetto, non giustifichiamo la cafonaggine dei nostri figli maschi, non diventiamo le loro schiave, non permettiamo che ci trattino come oggetti del desiderio o come badanti, cameriere, segretarie. Riprendiamoci le nostre vite e abbiamo per prime il coraggio di cambiare noi stesse ed il mondo che ci circonda. Facciamolo per noi, ma anche e soprattutto per le nostre figlie ed i nostri figli. Facciamolo per credere ancora che possa esserci un domani.

mercoledì 25 maggio 2016

Ultima edizione




In attesa del mio nuovo romanzo, che uscirà a fine anno, sul sito www.ilmiolibro.it è disponibile la nuova edizione dei miei lavori. 
Chi fosse interessato all'acquisto può cliccare sul link seguente:



martedì 17 maggio 2016

Il vestito nuovo



Con l’arrivo della bella stagione si moltiplicano gli inviti e le occasioni d’incontri e feste in società e contemporaneamente accresce l’ansia di apparire sempre belle e alla moda. L’armadio non offre grandi spunti. I vestiti per le occasioni mondane, rimasti inutilizzati per molto tempo, non sono più attuali ed anche il classico tubino nero tira e spancia. Vano qualsiasi tentativo di entrare ancora nel tailleur di shantung o nel vestito di voile in seta. Lo specchio mi esorta a non spingermi oltre: i chili di troppo accumulati durante l’inverno si fanno sentire tutti e non potendo ricorrere al chirurgo plastico per farmi affettare come una mortadella (tre etti di cosce, quattro etti di sedere ed altrettanti di pancia e seno!), sembra ormai evidente che è arrivato il momento di acquistare un nuovo abito!
L’idea mi appare subito piuttosto allettante e mi sorprendo in pausa pranzo a guardare le vetrine dei negozi in centro o a navigare sui blog di moda per aggiornarmi sul colore più trend dell’estate. Scelgo con la mente il look più adatto all'occasione, selezionando accuratamente colori, tessuti, modelli e costi, ma il terrore di apparire nuovamente dinanzi allo specchio, mi blocca e rimando lo shopping a data da destinarsi, nascondendomi dietro scuse abusate da donna super-impegnata.
Il giorno dell’evento si avvicina ed ignorarlo non giova al sonno: forbici parlanti mi inseguono in un corridoio infinito per tagliarmi un vestito su misura, talmente aderente da perdere il fiato e la solita combriccola di amici e parenti assiste alla scena bisbigliando all'orecchio. In fondo al corridoio un enorme specchio mi rimanda un’immagine deforme di me stessa. Mi sveglio sudata ed angosciata. La verità è che ho paura di accettare l’idea che non ho più né venti e nemmeno trentanni e che, mentre il mio corpo naturalmente si trasforma, la mia mente rimane legata all'immagine di quella che ero. Tra un rinvio e l’altro, arrivo terrorizzata alla vigilia dell’evento. “Ed ora cosa mi metto?”, urlo isterica dinanzi all'armadio stracolmo di vestiti che non mi entrano più, ma di cui non riesco a liberarmi, nell'illusione di poterli in un giorno nuovamente indossare. Morirò grassa, ormai è certo, ma nel frattempo dovrò comunque continuare a vestirmi e quasi rimpiango di non essere musulmana per poter indossare un bel burqa che mi protegga dagli sguardi indiscreti, come un fantasma della donna che sono stata.
Il tempo stringe ed occorre darsi da fare. Mi concedo una giornata di ferie, per scegliere al meglio il nuovo look e magari fare un salto dall'estetista/parrucchiera che dopo un intero inverno di crescita anarchica di peli/capelli mi ripeterà la solita litania su ciò che si deve e che non si deve fare per avere cura del proprio corpo. Da quanto è che non mi occupo più di me stessa? Sempre di corsa ad inseguire figlia, marito e lavoro ed il risultato di anni di incurie è davanti agli occhi di tutti. Sono una pantofola sciatta, piena di cultura e di vita vissuta, poco amante di me stessa. Il mio corpo è solo un’utilitaria che serve a trasportarmi nel mondo, ma come sarebbe bello poter viaggiare ogni tanto in una Jaguar anziché sempre in Cinquecento!
Ripiena di dubbi e pensieri, come la crema delle zeppole di San Giuseppe, mi dirigo verso il mio negozio di abbigliamento di fiducia, nascosto nell'angolino in centro, per scegliere qualcosa che non costi troppo, che mi stia bene a dosso e che sia alla moda, ma dopo aver faticosamente trovato parcheggio, scopro che il negozio che ricordavo è misteriosamente scomparso. Era proprio lì, tra il fioraio ed il negozio di scarpe, ma ora al suo posto lampeggia un centro massaggi cinese. Chiedo al fioraio: il negozio di abbigliamento che ricordavo è chiuso da tre anni, colpa della crisi, dice, e delle clienti pigre come me, aggiungo io.
“Ed ora dove vado?” mi chiedo smarrita. Un giro in centro mi fa subito sentire fuori luogo: i prezzi dei cartellini sono esorbitanti ed i modelli proposti degni del carnevale di Viareggio. Niente che possa andar bene per una quasi cinquantenne paffutella e, diciamolo, anche un po’ demodé. Ragazzine su scarpe che sembrano trampoli, oscillano eteree, scrutandomi dall'alto in basso, come una barbona in una gioielleria. Inutile perdere tempo. Forse al nuovo centro commerciale troverò qualcosa di meno caro e di più adatto ad una signora. Un’ora di coda nel traffico e quindici minuti per parcheggiare, ma alla fine ce la faccio.  “Cento negozi a mia disposizione, qualcosa troverò!”, mi dico convinta ed inizio la maratona. Primo negozio solo abbigliamento per teenager, secondo negozio abbigliamento anche taglie curvy ma di qualità veramente scadente, terzo negozio abbigliamento di marca troppo eccentrico, quarto negozio modelli sobri a prezzi accessibili, taglie fino alla 48: magari è la volta buona. Arraffo quel che posso e mi fiondo nel camerino. Provo un vestito nero con semi trasparenze, ma la 48 mi stringe troppo sul seno. Altro vestito più ampio, ma si poggia sul sedere e mi ingrassa. Continuo a provare e riprovare ma non c’è niente che mi stia bene ed il dubbio sorge spontaneo: ma sono io che ho superato abbondantemente anche la 48 o sono loro che fanno le taglie microscopiche? Mi guardo meglio allo specchio: le cosce che cadono, il sedere che straborda, la pancia molle, il seno a cipolla perché si, ormai fa proprio piangere! Abbandono tutto nel camerino e scappo, sperando di non essere vista. Mi viene da piangere. Chi è quella donna allo specchio che mi guarda stranita? Dove è finita la ragazza attraente e gioviale che a fatica avevo costruito? Com'è possibile che in un momento di distrazione mi sia trasformata in questa cosa sciatta? Devo subito porre rimedio alla situazione. Urge una cura di contrasto: dieta ferrea, piscina, massaggi ed un po’ di mare, al più presto… nel frattempo per consolarmi mi metto in fila per un gelato: cono cioccolato stracciatella e panna. Lo divoro senza neanche assaporarne il gusto, logorata dal senso di inadeguatezza. Sono troppo arrabbiata e non so nemmeno con chi prendermela. Domani c’è il grande evento ed io non so ancora cosa indossare. Mentre mi lecco le ferite del mio orgoglio distrutto mi ricordo di un outlet fuori mano che vende esclusivamente abiti da cerimonia, anche per taglie comode. Una debole speranza si accende. Evitando accuratamente gli specchi, mi dirigo al parcheggio e in stato di semi-coscienza raggiungo l’outlet. E’ appena maggio, ma fa già molto caldo e le belle ragazze si svestono. Le guardo ammirata: i capelli al vento, i vestiti leggeri che svolazzano, le gambe toniche ed abbronzate. Stanno bene anche vestendo lo straccio per la polvere e poi quello sguardo così sicuro e speranzoso del futuro, lo stesso sguardo che avevo anche io alla stessa età, prima che la vita mi piegasse con le sue promesse non mantenute, prima che mi obbligasse a mille rinunce, prima che il tempo mi trasformasse dall'interno prima che all'esterno. Siamo il riflesso dei nostri pensieri e la bellezza esteriore non è che l’amore sé stessi e per la vita, un amore che forse ho un po’ perso strada facendo. In fondo si può essere belle anche con qualche chilo di troppo e con qualche ruga sul viso, l’importante è piacere a sé stesse, essere soddisfatte di quelle che si è e di ciò che si fa. Forse è questo quello che mi manca, penso parcheggiando.
L’outlet è semi-deserto. La commessa mi avvista subito, sebbene faccia di tutto per nascondermi tra il vestiario.
“Posso aiutarla?”
“Grazie, ma sto solo dando uno sguardo. Appena trovo qualcosa che mi piace la chiamo”.
Una signora si prova un abito allo specchio. E’ un po’ in carne e sembra che trattenga il respiro per entrare in un fasciatissimo abito lungo color corallo.
“La guaina va indossata senza biancheria!”, le dice l’amica. “Non vedi i segni che ti lasciano le mutande?”, la rimprovera.
Quanto siamo disposte a soffrire pur di apparire sempre belle e giovani? Perché non possiamo accettarci per quello che siamo? Perché dobbiamo sempre confrontarci con un modello altissimo ed irraggiungibile? Al prezzo di quale sacrificio? E poi perché agli uomini non è chiesto di fare altrettanto?  Perché si soprassiede sui loro capelli bianchi, sulla loro pancetta, sulla loro barba incolta? Perché loro possono permettersi il lusso di essere “nature” e noi donne invece no? Perché dobbiamo sempre piacere a qualcun altro e non solo a noi stesse?
Rimuginando su questi interrogativi, mi aggiro tra gli stand dell’immenso magazzino, facendo finta, di tanto in tanto di guardare qualche abito. Poi la commessa mi si piazza davanti e mi dice:
“Posso farle provare qualcosa?”. Evidentemente mi teneva d’occhio già da qualche minuto. Mi arrendo dinanzi alla sua determinazione.
“Cosa le piacerebbe indossare?”. Domanda apparentemente semplice, ma con risposta complessa. “Devo apparire per quello che gli altri vorrebbero o per quello realmente sono?”, mi chiedo perplessa, ma la risposta la conosco da tempo. E’ scritta nel mio cuore, nel mio DNA.
“Vorrei un vestito elegante, ma sobrio, comodo che mi vesta elegantemente senza trasformarmi in quello che non sono”. La commessa sorride.
“Ho proprio quello che fa per lei”. Dice avanzando verso un angolo preciso. Mi mostra una serie di tailleur pantalone in shantung di seta, dal taglio classico, ma con colori sgargianti.
“Lei è una donna solare, anche se ogni tanto qualche nube oscura la sua luce. Una donna decisa e pratica. Non ha bisogno di fronzoli per apparire bella. Le basta sorridere”. 
Indosso a cuor leggero quello che mi offre. La taglia è perfetta, il colore anche e pazienza se ho qualche chilo di troppo e qualche ruga. Sono quel che sono e faccio pace con me stessa. Inutile inseguire modelli irraggiungibili. Chi vuole cogliere la bellezza la trova ad ogni passo. Deve solo saper cercare.  E’ questo il segreto del mio stare al mondo.


sabato 7 maggio 2016

Mothersday



Quando ho deciso di diventare mamma, non mi aspettavo certo quello che poi sarebbe successo. Avevo trentacinque anni e fino ad allora mi ero sempre occupata al meglio di me stessa, dei miei studi, del mio lavoro, della mia casa. Solo da qualche anno avevo imparato a condividere la mia vita con mio marito, a prendere decisioni in comune, a pensare ad un futuro insieme. 
Ho vissuto la gravidanza come una malattia, tra nausee, anemia e continue perdite che mi costringevano a rallentare il passo, ad andare più piano. Concentrata sul lavoro fino al settimo mese, non ho quasi avuto modo di comprendere i profondi cambiamenti a cui la vita mi stava chiamando. Ed infine quando la mia bellissima bambina è nata, il mondo mi è crollato a dosso. Abituata ad essere indipendente ed efficiente, non riuscivo a stare tutto il giorno seduta ad allattare- Avevo bisogno di dormire, di uscire, ma quel piccolo esserino urlante che tenevo sempre tra le braccia, dipendeva in tutto e per tutto da me. La sua dipendenza mi ha completamente sconvolto l'esistenza ed in breve sono caduta in uno stato di prostrazione. Non mi sentivo all'altezza del ruolo di mamma, nessuno mi aveva adeguatamente preparata. 
Vivendo a mille chilometri dalla mia città natale e con un marito sempre assente per lavoro, ho dovuto da sola cercare come potevo di soddisfare alle esigenze della piccola rinunciando spesso anche all'essenziale. Mangiavo poco, non dormivo per niente e trascorrevo interminabili giornate tra poppate, sonnellini, cambi di pannolini e ninna nanne. Ricordo quel periodo come un incubo che sembrava non dovesse mai finire, Intendiamoci; come ogni mamma amavo mia figlia più di me stessa ed avevo a cuore il suo benessere più di ogni altra cosa, ma senza alcun aiuto sociale o famigliare, sono stata costretta ad un percorso ad ostacoli che non ho più avuto la forza in seguito di attraversare. 
Ecco, credo che la maternità in Italia, sia senza troppe balle neoromantiche essenzialmente questo. 
Lo Stato che ci prosciuga di tasse, non fornisce alcun servizio di assistenza alle neomamme e le famiglie, che per anni hanno funzionato come ammortizzatore sociale, ormai disgregate non sono più in grado di svolgere quel ruolo di autoassistenza che caratterizzava la società italiana fino a qualche decennio addietro.  Tutto il lavoro di cura costante ed imprescindibile dei piccoli, grava sulle spalle delle mamme. Ma i figli non sono solo delle donne che li partoriscono. I figli sono anche dei papà, dei nonni, della collettività ed in un Paese che si suole definire civile, un Paese con profonde radici cristiane, credo sia davvero ipocrita ignorare tutte queste problematiche e parlare sempre e solo del periodo della maternità e dell'infanzia come un periodo idillico e spensierato. 
Da figlia non comprendevo i sacrifici che a sua volta aveva fatto mia madre per crescere ben tre figli. Non capivo perchè lei, così artisticamente dotata, aveva chiuso tutti i sogni in un cassetto e per amore nostro si era dedicata completamente alla famiglia. Da ragazza ribelle quale ero, ho sempre detto di non voler fare come lei, di voler lavorare e cercare di realizzarmi prima come persona che come mamma, Ed invece anche a me è successa la stessa cosa che succede a tutte le donne: ho dovuto scegliere tra la famiglia e la carriera, ho dovuto rinunciare a molti sogni per amore della mia famiglia, ho dovuto sacrificare me stessa per il benessere dei miei cari. 
Mia figlia è ormai una ragazza e comincia a riempire il suo cassetto di sogni bellissimi che mi auguro non rimangano tali, perchè c'è un enorme spreco di talento e danaro in tutto ciò, perchè nessuna donna può dirsi felice se deve rinunciare ad una parte di sè stessa, perchè la maternità è un valore da sostenere concretamente senza idealizzazioni. 
Questo significa oggi essere mamma in Italia. 
Buona festa dalla mamma a tutte. 

giovedì 31 marzo 2016

Chi sono





Mi hanno chiamato Brunella, come le mie nonne e come la pianta selvatica da cui ho preso il portamento eretto ed il carattere insolente. La scrittura insieme al disegno, sono sempre stati per me due modi diversi e complementari di esprimermi.
Ho scritto il mio primo racconto all'età di cinque anni. S'intitolava "Storia di una formichina" ed è stato pubblicato nella pagina dei lettori de "Il Corriere dei Piccoli". Ho continuato a scrivere e disegnare per tutta l’infanzia e l’adolescenza, arrivando a convincermi che dopo il Liceo Classico, il mestiere di Architetto era ciò che più mi si addiceva. Mi sono così trasferita a Milano per frequentare il Politecnico, lasciandomi alle spalle la vita di provincia che mi stava un po’ stretta. Mi sono laureata nel 1997 in Architettura con una tesi dal titolo "Matera. Tempi della memoria e della modernità", uno studio della città attraverso l’ottica del tempo, anziché dello spazio, vincendo il primo premio al Concorso "100 tesi per Matera", indetto dall'Amministrazione Comunale.
Ho mosso i primi passi nel mondo del lavoro come libera professionista, collaborando dapprima con il Politecnico di Milano e poi con prestigiosi studi di architettura milanesi. Ho insegnato storia dell'arte e dell'architettura e collaborato come web writer con Exibart.com per la recensione di mostre e libri d’arte. Mi sono infine arruolata nelle fila della pubblica amministrazione, per meglio conciliare vita lavorativa e famigliare e per mettere le mie competenze a servizio della collettività, ma la mia vera passione rimane la scrittura.
Tra il 2010 ed il 2012 ho frequentato alcuni di corsi di scrittura creativa per approfondire le tecniche di composizione di un testo letterario ed imparare ad utilizzare con maggiore padronanza gli strumenti del mestiere di scrittore.
Ho partecipato con discreto successo ad alcuni concorsi letterari tra cui Energheia (Matera) arrivando per ben due volte tra i finalisti. Nel 2012 ho pubblicato in self-publishing una raccolta di racconti intitolata I lupi e le malve a cui ha fatto seguito il mio primo romanzo dal titolo Come il due di luglio, un giallo ambientato a Matera, recentemente selezionato tra i finalisti del concorso ilmioesordio.it indetto da Feltrinelli, Scuola Holden e Newton Compton. 
Scrivo spesso, nei momenti di pausa, di sera davanti alla televisione ed anche in treno, ritornando a casa dal lavoro, perché scrivere mi aiuta a riflettere, ma anche a comunicare, a condividere, a ricordare ed a volte a sognare. Scrivere è per me una necessità, come mangiare e respirare, un atto di libertà estremo a cui non so resistere.